RASSEGNA STAMPA
IL SECOLO XIX -
G8, va in prescrizione anche il calcio in faccia
Genova, 11 novembre 2009
G8, va in prescrizione anche il calcio in faccia
CONDANNE RIDOTTE O DEL TUTTO CANCELLATE
Alessandro Perugini, il poliziotto condannato in primo grado a quasi 5
anni, se la cava con uno.
Il tempo estingue anche gli abusi di Bolzaneto
G8, la prescrizione "grazia" Perugini
colpo di spugna sui processi
Dei quasi 5 anni di condanna in primo grado ne resta uno. Proscioglimenti
a raffica anche per Bolzaneto
L'ultimo colpo di spugna sui processi-simbolo del G8 arriva grazie
alla prescrizione, termine quantomai attuale in questi giorni di dibattito
sulla riforma della giustizia. Perché i tempi lunghi hanno "graziato"
Alessandro Perugini, l'ex vicecapo della Digos immortalato mentre sferra
un calcio a un manifestante. Per quel fatto aveva ricevuto una condanna a
due anni e tre mesi, da sommare a quella a due e quattro mesi inflitta da
altri giudici per gli abusi sui no global nella caserma di Bolzaneto. Oggi
dei (quasi) cinque anni complessivi, che teoricamente gli avrebbero
precluso persino la libertà condizionale, resta in tutto un anno. I fatti
di Bolzaneto sono completamente «prescritti», come ha confermato l'accusa
stessa chiedendo il proscioglimento di 40 dei 45 imputati in primo grado.
Ieri ecco la nuova sorpresa: dei vari addebiti per i quali Perugini fu
punito nel procedimento sul calcio volante e l'arresto illegale di otto
ragazzini in mezzo alla strada, è rimasto in piedi soltanto il falso.
Risultato, i due anni e tre mesi si riducono e interviene la condizionale.
In ballo c'era un fatto marginale e però altamente evocativo, l'episodio
sintetizzato in un frame che ha fatto il giro del mondo, in cui proprio
Perugini ferisce il sedicenne romano Marco Mattana che qualche secondo
dopo è ripreso in primissimo piano con il volto tumefatto. Sembra un
paradosso, ma le lesioni a Mattana furono già"stralciate" dalla vicenda:
il giovane, risarcito secondo fonti ufficiose con circa 40 mila euro,
aveva infatti ritirato la querela. È tuttavia rimasto solido il resto
della sequenza, fissato nero su bianco da numerosi filmati: i ragazzi che
si siedono in mezzo alla strada, via Carlo Barabino, la mattina del 20
luglio 2001, prima della guerriglia e della morte di Carlo Giuliani.
Vogliono inscenare una protesta simbolica e sono a terra, immobili. È a
quel punto che cinque agenti li sgomberano e ammanettano in modo
«illegale», come stabilì in primo grado il tribunale. Due addirittura (un
fotografo e il figlio di un avvocato), vengono prelevati dal bordo della
strada e ammanettati.
Secondo tutti i magistrati che li hanno giudicati, i tutori dell'ordine
mentirono nel sostenere che quel drappello li aggredì davanti alla
questura prima che in città scoppiasse in finimondo. E mentirono quando
sui verbali scrissero che lanciarono pietre o bottiglie, per giustificare
la forza usata in seguito. Ma ormai è passato così tanto tempo, che le
accuse di calunnia e arresto illegale non reggono più, e la condanna
arriva (mitigata) esclusivamente per il falso. Oltre a Perugini sono stati
condannati a un anno Antonio Del Giacco (due anni e tre mesi in primo
grado) e a otto mesi i suoi colleghi Sebastiano Pinzone (due anni), Enzo
Raschellà e Luca Mantovani (un anno e dieci mesi).
«Noi coinvolti da sette anni in questa vicenda - ha sempre ribadito
Perugini - viviamo con la consapevolezza di quelle immagini, di quei
filmati ossessivamente trasmessi come simbolo negativo delle forze
dell'ordine». Nel frattempo si avvicina all'epilogo anche l'Appello per i
soprusi nella caserma di Bolzaneto: in primo grado la Procura aveva
chiesto 45 condanne, ottenendone 15. Stavolta ha proposto 40
proscioglimenti per prescrizione, ai quali hanno rinunciato in tre. E
quindi, al massimo, potrà arrivare la conferma di otto condanne, a carico
di sette agenti fra polizia di Stato e penitenziaria, e di un medico.
Ancora la prescrizione ha salvato, fra gli altri, Giacomo Toccafondi, il
dottore che prese un anno in prima battuta per il suo atteggiamento
«omertoso» e «omissivo», e per non aver avviato accertamenti sull'impiego
dei lacrimogeni in caserma. «Ormai - sussurrano in Procura - questo è solo
un processo di principio».
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